Identità di genere

La disforia di genere dipende da varianti genetiche?

Written by Dr. Paola Biondi

Uno studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports suggerisce che un ruolo fondamentale nella disforia di genere sarebbe giocato da alcune varianti dei geni legati allo sviluppo del cervello.

Gli scienziati hanno analizzato il DNA di 30 uomini e donne transgender, con disforia di genere e hanno identificato quelle che hanno descritto come 21 varianti “rare” in 19 geni, nei percorsi neurali associati all’ormone sessuale estrogeno.

Si ritiene, infatti, che i percorsi neurali influenzino la configurazione di un cervello maschile piuttosto che femminile. Durante la vita intrauterina e poi, dopo la nascita, alcuni geni determinano il momento in cui viene rilasciato l’estrogeno, il che contribuirebbe alla mascolinizzazione del cervello. Ne parlavo già 9 anni fa in questo post!

Secondo il team di ricerca, le persone alle quali alla nascita è stato assegnato il sesso maschile, ma che in seguito si identificano come femmine, potrebbero non essere passate attraverso questo processo di mascolinizzazione.

Si può prevedere la disforia di genere?

Gli autori sostengono che tra lo 0,5 e l’1,4 per cento delle persone a cui è stato assegnato sesso maschile alla nascita, e tra lo 0,2 e lo 0,3% a cui è stato assegnato quello femminile, svilupperanno disforia di genere.

Lo studio ha coinvolto 13 uomini e 17 donne ai quali era stata “diagnosticata” la disforia di genere e un gruppo di controllo di 88 persone cisgender.

Come spesso capita per le popolazioni LGBT+, un punto debole della ricerca è il campione ridotto dei partecipanti, anche se sembra essere più grande della maggior parte degli studi condotti con lo stesso metodo pubblicati in passato. Ad ogni modo, la ricerca sta andando avanti per arrivare a reclutare almeno 200 soggetti.

Un limite è dovuto al fatto che le persone transgender possono avere difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria per la disforia di genere, a causa di una generale mancanza di informazione del personale sanitario, di alcune politiche illogiche del sistema sanitario nazionale e della necessità di utilizzare farmaci off label.

Ma stiamo parlando di gene transgender?

Gli autori sottolineano che lo studio non era teso alla ricerca del cosiddetto “gene transgender”, idea fuorviante che suggerisce che queste persone siano malate. Piuttosto, l’obbiettivo era comprendere la complessità dello sviluppo dell’identità di genere attraverso l’aiuto della genetica, immaginando l’esistenza di uno spettro di generi, come succede per il colore degli occhi.

Sappiamo bene che “l’identità di genere di una persona è più probabilmente il risultato di una complessa interazione tra più geni e fattori ambientali e sociali”, come sostiene anche la scienza. Il team ha riconosciuto che categorie come maschio transgender e femmina transgender da sole non sono sufficienti per descrivere individui che non si identificano come cisgender. Ad esempio, altri potrebbero identificarsi come non binari, agender, genderfluid o in molti altri modi.

I ricercatori spiegano che “mentre, in alcuni individui, una singola variante genetica può essere sufficiente per provocare disforia di genere, non significa che quella stessa variante sia condizione necessaria o sufficiente a causare disforia di genere nella popolazione in generale“.

Una delle coautrici, la dottoressa J. Graham Theisen, ostetrica, ginecologa e ricercatrice al National Institutes of Health presso il Medical College of Georgia dell’Università di Augusta, ha dichiarato al settimanale Newsweek che “l’obiettivo principale della nostra ricerca è quello di ottenere una migliore comprensione della componente biologica che contribuisce allo spettro delle identità di genere e quindi aiutare i nostri pazienti a ottenere una migliore comprensione di se stessi”. Una consapevolezza che potrebbe aiutare a contrastare la narrativa discriminatoria secondo cui l’identità di genere è una scelta.

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