Orientamento Sessuale

Lesbica e comica, la Nanette che fa riflettere

Written by Dr. Paola Biondi

Discriminazioni e omofobia fanno ridere?

Una lesbica e comica, persino famosa, è diventata la protagonista di una di queste interminabili settimane di quarantena forzata. Complice il lockdown obbligato – che per carità io sto anche amando – ho trovato il tempo di guardare Nanette, la famosa (ma non lo sapevo) stand up comedy scritta e interpretata dalla comica australiana Hannah Gadsby.

Ma come si fa a far ridere parlando di tematiche sessiste e discriminazioni su persone omosessuali? Molto criticato e amato allo stesso tempo, lo spettacolo, uscito nel 2017 in pieno caso Weinstein, ha scatenato un acceso dibattito.

Due parole sulla protagonista

Hannah nasce 42 anni fa in una cittadina della costa nord occidentale della Tasmania, dove l’omosessualità è stata un REATO fino al 1997. Si accorge ben presto di essere “diversa” e – come tante persone – inizia a soffrire di attacchi di panico.
Non deve essere stato facile per la piccola Hannah crescere in un contesto culturale così opprimente e lei ne parla apertamente nello spettacolo: “Il 70% delle persone che mi ha cresciuta e voluto bene pensava che l’omosessualità fosse un crimine, un peccato, quando mi sono resa conto di essere lesbica era già troppo tardi: ero un’omofoba e ho potuto solo iniziare a odiarmi”.

E’ quello che capita ancora oggi a tanti gay e lesbiche che – magari provenendo da famiglie rigorose e contesti religiosi ultraortodossi – finiscono per odiarsi piuttosto che odiare chi li odia.

Che ha di speciale sto spettacolo quindi?

Fin dall’inizio del suo monologo la Gadsby smonta il meccanismo comico mostrandone il contenuto al pubblico e affermando apertamente di voler smettere di fare la comica: “Ho fatto dell’autoironia il mio cavallo di battaglia, ci ho costruito sopra la mia carriera – sottolinea – ma non voglio più farlo, perché vi rendete conto di cosa vuol dire l’autoironia per chi è stato sempre un emarginato? Non è umiltà, è umiliazione”. Spiega come si costruisce una battuta e perché le battute costruite bene fanno ridere: è un equilibrio tra tensione e liberazione dalla tensione. E questa tensione è presente in tutta la sua narrazione, come un filo rosso, torna e ritorna dall’inizio alla fine. Perché la tensione? Perché, dice Hannah, “ho imparato molto presto a smorzare la tensione, a maneggiarla: ero IO quella tensione.”

Spiego meglio il concetto: è come dire ero io quella che creava tensione negli altri, ero io l’oggetto delle discussioni, dei commenti, delle battute, delle risate, degli scherni. E della violenza. Su questa cosa il registro comico sparisce e chi assiste allo spettacolo diventa testimone di una denuncia. Che molte persone gay, lesbiche, trans o anche solo in quanto donne purtroppo troveranno familiare e avranno vissuto – almeno una volta – nella loro vita.

Hannah ci svela la verità: “Non ho fatto coming out con mia nonna, perché ancora mi vergogno di quello che sono”. Ci racconta come andò davvero a finire un episodio inserito nello spettacolo, che ci aveva fatto ridere: “Quel ragazzo tornò indietro e mi massacrò di botte e io non lo denunciai perché pensavo di non valere niente”. Ma qui la battuta che scioglie la tensione e libera il pubblico dal peso del trauma non arriva, anzi, la protagonista si rivolge apertamente al suo interlocutore chiamandolo ad accollarsi la sua parte di responsabilità: “Questa tensione ve la lascio, stavolta non vi aiuto, perché dovete imparare a capire come ci si sente”. Non si ride più, si china la testa, ci si vergogna, perché se certe cose sono accadute, accadono e continueranno ad accadere, la responsabilità è di tutti e il peso va sostenuto collettivamente, dalla comunità intera.

Come ci si sentirebbe al mio posto?

Nel finale dello spettacolo l’autrice spiega di non odiare gli uomini (bianchi e etero), ma di averne paura: “Non odio gli uomini, ma mi chiedo come si sentirebbero nei miei panni.
Perché è stato un uomo a molestarmi quando ero una bambina; è stato un uomo a picchiarmi a sangue quando avevo 17 anni; sono stati due uomini a stuprarmi quando ero una ventenne. Perché scegliere proprio me e trattarmi in quel modo? Sarebbe stato meglio piantarmi una pallottola in fronte se essere diversi è un crimine. E non sto dicendo questo per fare la vittima, non lo sono, perché la mia storia ha un valore
”.
Boom. Questo ci lega per sempre alla verità dell’orrore che nessuna risata potrà curare.

E’ bello questo spettacolo, intenso e forte. Un pugno nello stomaco, ma ogni tanto ci fa anche bene. Le persone LGBT+ conoscono bene quanto il personale sia anche politico e come anche una commedia comica possa diventare un potente strumento di denuncia sociale, per dare voce alla rabbia per le ingiustizie, gli abusi, ogni piccola discriminazione che le persone diverse dal mainstream subiscono dalle maggioranze.

Un libro autobiografico di un carissimo amico, Miki Formisano, si intitola “Resto umano”, e io lo uso giocando un po’ sul “resto” umano come residuo di un uomo che ne ha combinate tante nella vita e non tutte di cui essere orgoglioso e il “resto umano” che ci accomuna, a dispetto di orientamento sessuale, identità di genere, sesso o altro. La differenza sta solo nello scegliere da che parte stare, no?

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