Qualche tempo fa su D di Repubblica (12/12/2009) Maria Grazia Meda ha pubblicato un interessante articolo riguardante gli scritti di due storici francesi (Louis-Georges Tin e Christella Taraud) sull’omosocialità.
In sostanza gli studiosi hanno osservato con attenzione altre società, ben differenti dalle nostre occidentalissime scoprendo che l’oggetto della rappresentazione sociale non è sempre la coppia uomo-donna.
Nel saggio “L’Invention de la culture hétérosexuelle” (ed. Autrement) gli autori rilevano che in queste culture la coppia etero è secondaria nelle forme di rappresentazione collettiva, mentre in occidente la coppia etero ha una rappresentazione simbolica molto più marcata. Nel discorso teologico originario la coppia etero non è celebrata (Gesù è celibe, sua madre è vergine e non si conosce niente della famiglia degli apostoli), fino ad arrivare a San Paolo con la sua feroce avversione al matrimonio.
Solo a partire dal XII secolo, con l’amor cortese, le donne hanno iniziato ad essere oggetto di rappresentazione: si passa da racconti di uomini e di amicizie maschili a racconti di uomini che corteggiano le donne, come a dire che i cavalieri della Tavola Rotonda siano stati rimpiazzati dai Romeo & Giulietta.
A volere fortemente questa rivoluzione è stata la Chiesa che, non potendo vietare completamente le pratiche sessuali, cercava di canalizzarle nel matrimonio.
E la medicina che dice?
Gli autori riportano la visione della medicina, subentrata a fine 800 per gettare le basi dell’ordine eterosessuale: “L’eterosessualità non finalizzata è una patologia: le persone che pensano al sesso non procreativo sono debosciati affetti da appetito sessuale anormale e pervertito per l’altro sesso“. In qualche decennio il modello eterosessuale si impone come norma soppiantando la cultura omosociale, passando per l’istituzione di scuole miste (a soppiantare quelle che vengono definite ‘amicizie particolari’) e contando sul costante rinforzo da parte della letteratura, del cinema e persino dalla danza, che ritualizza i ruoli “naturali” dei due partner: l’uomo guida, la donna segue.
Oggi, conclude il saggio, “L’eterosessismo è un po’ il braccio armato dell’ordine eterosessuale costituito” e propone alcuni esempi: “Un uomo politico non sposato difficilmente può candidarsi alla presidenza del proprio paese. Una cinquantenne single ispira pietà. Un adolescente senza la ragazza getta nel panico i genitori. Se si scopre omosessuale è guardato con sospetto”.
Non si finisce mai di avere stereotipi di genere
Con grande lungimiranza la Meda concludeva con delle domande “E quanti single vogliono davvero impegnarsi a passare tutta la vita con una persona del sesso opposto? E i segreti più intimi a chi li confessiamo? Al partner, all’amica più cara?”.
Alla fine dell’articolo mi sono detta che avrebbe fatto riflettere tutti coloro che l’avessero letto.
Mi sbagliavo.
Girando in rete, un blog omofobico ha stravolto il senso dell’articolo e delle riflessioni dei due autori francesi.
L’autore del blog sostiene che Tin baserebbe le sue ricerche solo sul suo essere ‘un noto militante gay’ (effettivamente Tin ha ‘inventato’ la giornata mondiale contro l’omofobia e la transfobia, ma questo non sminuisce i suoi meriti di storico e ricercatore). Ma nel blog c’è di più: si paventa un futuro ‘abitato da cloni’ e si riportano parti dell’intervista a Tin per dimostrare che si debba diffidare delle sue tesi.
Mi chiedo come i pregiudizi possano essere una lente tanto deformante da far vedere distorto anche ciò che non lo è. Credo che in fondo sia una reazione alla paura che in queste persone suscita la riflessione di Tin “il divenire eterosessuale dei ragazzini passa attraverso fasi molto diverse: da piccoli stanno solo con coetanei del proprio sesso e non giocano volentieri con le bambine. Nella pubertà frequentano le ragazze e se non lo fanno diventano sospetti. Poi flirtano, si sposano, hanno figli e vanno in crisi; pensano a come stavano bene con i loro amici maschi. Vorrebbero ritrovare la loro omosocialità, intesa come forma di scambio e socievolezza tra persone dello stesso sesso. Il percorso del maschio moderno è un continuo conflitto tra l’ingiunzione di un modello eterosessuale idealizzato e il desiderio di omosocialità. Lo stesso vale per le donne”.
Guardando la nostra società, limitandoci anche solo alla nostra rete di conoscenze, ai vicini di casa e ai colleghi di lavoro, chi non ha ancora notato che il vecchio modello ottocentesco traballa?
Dove sono le casalinghe perfette, gli uomini-eroe e le famiglie perfettamente in equilibrio da rivista patinata?
Vogliamo veramente continuare a idealizzare un sistema che si è dimostrato frustrante e non funzionale, né per gli uomini né per le donne?
Non sarebbe forse il momento di diventare davvero moderni, come già suggeriva Latour, contemplando l’idea di creare anche degli ibridi culturali che non rientrano in obsoleti schemi ma portano alla felicità?